La Ceramica nel Mondo Antico Le Ceramiche del Corredo

Le Tipologie di Ceramica

La Ceramica Listata

Tra le produzioni che prendono origine dalla ceramica a decorazione geometrica prodotta nei centri della Daunia preromana di particolare interesse è la ceramica “listata” prodotta a Canosa di Puglia tra la seconda metà del IV ed il II secolo a.C., caratterizzata da una decorazione a “liste” orizzontali costituite da motivi geometrici alternati a fregi vegetali stilizzati, spesso arricchiti, soprattutto nelle fasi più tarde, da elementi figurativi sovraddipinti in rosa, rosso e azzurro. A volte sono presenti anche elementi stilizzati che riproducono fiure umane e animali (spesso delfini). Le tipologie di vaso di maggior riscontro sono l’askos semplice o doppio, l’anforetta, il thymiaterion, l’olla ad imbuto e la doppia situla.

a Vernice Nera

La ceramica a vernice nera ha avuto un lungo arco di produzione nel mondo antico, in relazione al suo utilizzo come ceramica fine da mensa in uso dalla tarda età arcaica alla età romana primo-imperiale (I secolo a.C.), quando il progressivo affermarsi della produzione di ceramiche sigillate ne determinarono la scomparsa. La sua diffusione può ritenersi capillare in tutto il mondo ellenizzato. Il colore nero dei vasi di questa tipologia, comunemente ed impropriamente definito “vernice” si deve allo strato di argilla depurata che ricopre la superficie dei vasi, che si trasforma in un rivestimento nero lucente per effetto dell’alta temperatura raggiunta con la cottura, che determina la trasformazione dei sali di ferro presenti nell’argilla ed il viraggio del colore dal rosso al nero. I vasi potevano essere interamente “verniciati” o potevano presentare delle zone “risparmiate” il cui colore era quello rosso arancio naturale dell’argilla. L’abilità dell’artigiano nel governo della fornace e la qualità dell’argilla erano quindi determinanti per realizzare prodotti di alta qualità, com’è evidente per la produzione attica di vasi a vernice nera, che dominarono i mercati per tutto il V secolo a.C. Le forme e le dimensioni della ceramica da mensa variavano dai grandi crateri tipici della produzione laconica arcaica ai vasi di piccole dimensioni (brocchette, olpette, coppe di vario tipo, piatti). La tecnica a vernice nera veniva utilizzata anche per la produzione di oggetti di diversa funzione, come le lucerne, i gutti e gli unguentari in uso per la toilette. In ambito apulo è documentata già in età arcaica l’importazione di ceramica a vernice nera di provenienza greca, dapprima di ambito laconico e greco-orientale e, per tutto il V secolo, di produzione attica. Analogamente a quanto attestato per la ceramica a figure rosse, si afferma poi progressivamente una produzione magnogreca e indigena di ceramica a vernice nera che sviluppa un repertorio di forme locali. Tale produzione, particolarmente fiorente nel IV e nel III secolo a.C., fu in uso per tutta l’età ellenistica. In ambito indigeno la minore perizia dei vasai, la cottura spesso non uniforme dei manufatti e l’uso di argille di qualità non sempre eccelsa determinarono caratteristiche qualitative a volte modeste nella ceramica a vernice nera, la cui produzione era spesso affiancata anche da quella di ceramica a vernice bruna e rossa, la cui colorazione era ottenibile con l’utilizzo di temperature inferiori. A differenza dei vasi a vernice nera, ottenuti al tornio, queste tipologie locali sono a volte ottenute con la ruota lenta, come nel caso della ceramica a vernice rossa di ambito peuceta, prodotta nel VI secolo a.C. Le forme adottate appartengono per lo più al repertorio della ceramica a vernice nera. Nel II secolo a.C. si afferma una produzione di ceramica caratterizzata da un impasto di colore grigio con rivestimento nero opaco, nota come “ceramica a pasta grigia”, che si diffonde in età tardo-repubblicana in Italia meridionale in ambito ionico ed adriatico.

In età augustea si assiste un po’ dovunque al calo delle produzioni di ceramica a vernice nera, sostituite come ceramica da mensa dalle terre sigillate le cui produzioni dominarono il mercato per tutta l’età imperiale.

La Ceramica di Gnathia

La ceramica impropriamente definita “di Gnathia” è una produzione vascolare a vernice nera sovraddipinta molto diffusa in ambito apulo. La decorazione si avvale di colori aggiunti bianco, giallo e rosso porpora e dell’uso di linee incise per sottolineare i particolari delle figure. Il repertorio stilistico, che presenta evidenti analogie con quello della ceramica apula a figure rosse, annovera sia temi figurativi di grande finezza e pregio di esecuzione, sia motivi fitomorfi stilizzati come i tralci di vite ed i rami di edera, sia motivi zoomorfi e geometrici. Le figure umane, in ogni modo, sono meno frequenti rispetto ai temi vegetali ed animali. In alcuni casi ai motivi vegetali si associano figure di animali (uccelli, lepri, pantere), in altri casi temi ed oggetti propri della sfera del rito e del teatro. Tipica è ad esempio la maschera teatrale pendente da tralci vegetali che attraversano orizzontalmente il corpo del vaso. Le forme adottate per i vasi, come la decorazione, derivano da quelle proprie della ceramica a figure rosse con la presenza, nelle fasi più mature della produzione, di tipologie di imitazione di esemplari metallici. Di frequente attestazione l’adozione di elementi plastici, come la baccellatura del corpo del vaso e le anse configurate a protome zoomorfa o umana. Il rinvenimento di vasi di questa tipologia ad Egnazia fece erroneamente ritenere in passato che il centro principale di produzione di questa ceramica fosse da identificare con il luogo di rinvenimento degli esemplari, tanto da attribuire alla classe vascolare il nome “di Gnathia”. In realtà la produzione iniziale si irradia presumibilmente da un’officina tarantina intorno al 360 a.C., per diffondersi poi in altri centri apuli. Vi si distinguono tradizionalmente tre fasi di produzione: Antico Gnathia (360-340 a.C.), Medio Gnathia (340-325 a.C.), Tardo Gnathia (325-270 a.C.).

La Ceramica Acroma

La denominazione “ceramica acroma” si applica ad un insieme vasto ed eterogeneo di vasi caratterizzati dall’assenza di decorazione mediante colori o vernici di qualsiasi tipo. Ne esistono numerose tipologie, prodotte in età e contesti diversissimi, a volte di grande pregio (ceramiche fini da mensa, in cui l’assenza di decorazione dipinta è compensata talora da elementi decorativi di tipo plastico), a volte di tipo comune e grossolano, ottenute con argille poco depurate e destinate ad uso domestico. Il periodo di produzione della ceramica acroma si estende dall’età arcaica a quella medievale, la grande varietà di forme e tipologie è probabilmente all’origine dell’assenza di una classificazione organica e sistematica di questa tipologia vascolare, studiata più in relazione a determinati periodi e contesti localizzati che nell’insieme.

Le Lucerne

Le lucerne costituivano nel mondo antico il mezzo di illuminazione più comune e diffuso. Erano costituite essenzialmente da un serbatoio che veniva riempito di olio attraverso un foro di alimentazione, un beccuccio in cui alimentare la fiammella e un’ansa per la prensione. Di dimensioni solitamente piccole, presentavano una forma circolare od allungata e a volte erano decorate con motivi plastici a rilievo. Ne esistono di varie tipologie, prodotte per gli esemplari più antichi con il tornio e in seguito attraverso matrici di terracotta. In Puglia è documentata la presenza di lucerne a vernice nera databili tra la seconda metà del IV e la prima metà del II secolo a.C., le cui caratteristiche formali sono omogenee e riconducibili ad una produzione apula locale, destinata ad esaurirsi in età tardo-ellenistica per essere sostituita da prodotti di importazione di varia provenienza. In età tardo-repubblicana e primo-imperiale si diffondono le lucerne di produzione centro italica, realizzate a matrice e di forma radiale e di diversa tipologia (a volute, a perline, a becco tondo, Firmalampen), spesso decorate a rilievo con motivi plastici o recanti iscrizioni sul fondo. In età imperiale hanno ampia diffusione le cosiddette lucerne “africane”, prodotte in terra sigillata, a cui si affiancheranno in età tardoantica le lucerne “cristiane”, caratterizzate dalla presenza di un simbolo religioso come la croce o il pesce.

Le Anfore

L’anfora è il recipiente usato nel mondo antico per conservare e trasportare le derrate alimentari. Di solito era un vaso di grandi dimensioni e di forma allungata usato principalmente per la conservazione e il trasporto di ogni tipo di derrate, soprattutto vino, olio e garum - una salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato usata come condimento dagli antichi Romani. L’anfora era per lo più di terracotta, ma ne esistevano anche esemplari realizzati in materiali più pregiati (marmo, alabastro, vetro o metalli preziosi). Quando erano destinate a contenere materiali di particolare pregio - come ad esempio le spezie che avevano un grande valore nel mondo antico - le anfore potevano essere realizzate anche di piccole dimensioni. La parte inferiore del recipiente terminava con un puntale con cui inserire il contenitore in appositi supporti forati sia all’interno dei magazzini che sulle navi da trasporto. Le anfore venivano in genere prodotte nei luoghi di provenienza delle merci e sono di solito classificate in base a criteri di provenienza in grandi raggruppamenti: anfore fenicie, puniche, greche, etrusche, greco-italiche e romane. Erano realizzate in grandi quantità con tecniche di assemblaggio delle parti componenti prima della cottura nelle fornaci. L’interno dell’anfora poteva essere impermeabilizzato con pece e resine, e l’imboccatura spesso era chiusa con appositi tappi di ceramica. Sulla superficie esterna spesso sono visibili iscrizioni che riportano (di solito in forma abbreviata) il nome del produttore. Il successo delle anfore fu dovuto ai traffici marittimi. Già note nelle civiltà preclassiche e diffuse nel mondo greco a partire dal VII secolo a.C. questi grandi contenitori furono ben presto usati in larga scala dai popoli che si affacciavano sul Mediterraneo nei loro commerci. La navigazione all’epoca risultava comunque spesso poco sicura, molte navi a causa delle tempeste naufragavano, altre per impedire l’affondamento venivano alleggerite del carico che veniva gettato fuori bordo. Talvolta le navi onerarie, cioè da trasporto (dal latino onus, peso), nonostante una navigazione tranquilla, venivano liberate dal carico, perchè deteriorato, oppure in altri circostanze un cattivo stivaggio causava la rottura di molte anfore che pertanto finivano in mare. Per tali motivi i fondali del Mediterraneo si sono via via sempre più arricchiti di questi contenitori, oltre che di relitti di antiche navi affondate con i loro carichi: anfore in primo luogo, vasellame, bronzi, marmi, pani di metallo. Nella Daunia in età ellenistica è attestata la presenza di anfore da trasporto nei corredi funerari.

La Coroplastica

Il termine “coroplastica” si riferisce alla produzione di terrecotte, attestata nel mondo antico già a partire dall’età micenea, destinate sia all’ambito votivo che alla decorazione architettonica, presenti sia nei contesti funerari che nelle aree di culto. Questa produzione plastica realizzata con un materiale povero come l’argilla si diffuse in modo particolare in regioni in cui il materiale lapideo pregiato da adoperare per la scultura scarseggiava, come nel caso dell’area apula. In Puglia le attestazioni più antiche si riferiscono ai contatti con il mondo greco-egeo, testimoniati dal rinvenimento nel tarantino di idoletti fittili di chiara provenienza micenea. In età arcaica, in coincidenza con la fondazione della colonia spartana a Taranto, si afferma la produzione di figurine fittili che diedero vita nel tempo ad uno stile autonomo tarantino. I soggetti più raffigurati sono le figure femminile (korai) stanti o sedute (probabilmente divinità femminili), insieme ai banchettanti o recumbenti semisdraiati sui letti conviviali (klinai) con le coppe o gli strumenti musicali, elementi tipici della riunione conviviale (simposio) cara alle élites aristocratiche del mondo greco ed ellenizzato. Nel V secolo e in modo ancor più evidente nel IV si nota nella realizzazione di queste figurine fittili una evoluzione stilistica dalla plastica arcaica ai modelli della grande scultura di età classica. Anche il repertorio iconografico si amplia, appaiono nuovi soggetti, tra cui di particolare interesse quelli legati al mondo del teatro, con la raffigurazione degli attori nei loro costumi di scena. La produzione di statuette in questo periodo non è più solamente tarantina, nascono nuove botteghe nel mondo apulo, com’è attestato per Canosa, Ruvo ed Egnazia, anche se le realizzazioni di maggior pregio continuano ad essere quelle di fattura tarantina, ispirate ai modelli greci e microasiatici, soprattutto tanagrini. Le statuette erano realizzate a stampo con rifiniture eseguite con la stecca e decorate con colori vivaci. Il repertorio figurativo, comprendeva anche soggetti del mondo animale e vegetale, spesso collegati all’area del culto. Tra le produzioni coroplastiche indigene non mancano esemplari di pregio, come il grande complesso votivo della stipe del Belvedere a Lucera (databile tra la fine del IV e la prima metà del II secolo a.C.), in cui la maggior parte delle terrecotte sono ex voto raffiguranti parti anatomiche, secondo un uso consolidato nei santuari dell’epoca. Tra le produzioni apule di elementi fittili un posto importante è occupato anche dal materiale architettonico, testimoniato da un numero rilevante di antefisse, acroteri, sime e gocciolatoi destinati all’abbellimento di edifici pubblici e privati, rinvenuti in numerose località pugliesi. In età tardo-repubblicana le produzioni locali sembrano entrare in crisi, per esaurirsi del tutto in età romana imperiale.

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